Gino Bartali, il campione del ciclismo che con l'amico rivale Coppi è entrato nella leggenda e nell'immaginario di intere generazioni di appassionati. Una figura unica nel suo genere, un toscanaccio dal carattere ruvido ma dalla generosità sportiva ed umana senza eguali. Non tutti lo sanno, ma durante la seconda guerra mondiale con la sua bici ha salvato centinaia di ebrei durante il periodo fascista. Imprese "umanitarie" per le quali ha rischiato la vita, tant'è che il suo nome è ricordato nel Giardino dei giusti di Gerusalemme.
La storia raccontata da Simone Dini Gandini, in 'La bicicletta di Bartali' è quella di un’atleta che tra il 1943 e il 1944 salvò oltre 800 persone con la sua bicicletta percorrendo 185 chilometri al giorno avanti indietro.
Nella canna e nel manubrio nascondeva documenti falsi che da Assisi, dove c'era una stamperia clandestina portava al vescovo di Firenze, che poi li distribuiva agli ebrei per permettergli l’espatrio e quindi la salvezza dal fascismo.
Se fosse stato scoperto, Bartali sarebbe andato incontro alla fucilazione. Una storia che rimasta nascosta per tantissimo tempo, perché il ciclista non era un uomo che amava pubblicizzare le sue gesta. Poi la confidenza al figlio Andrea con la raccomandazione di non raccontare nulla se non a tempo debito.
"Nell'autunno del '43 Bartali venne arrestato dalla polizia fascista: a Firenze c'era il temutissimo comandante Mario Carità, persona crudele e spietata. Venne fermato ma nessuno ispezionò la sua bicicletta: grazie a questa 'dimenticanza' il campione si salvò”, si legge nel libro di Gandini.
Nel 2006, dall’allora Presidente Ciampi era stata conferita una medaglia d’oro al valore civile alla memoria di Bartali e nel 2013 gli era stata assegnata dallo Stato di Israele l'importantissima onorificenza di Giusto fra le Nazioni.
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Gino Bartali era un toscano doc, classe 1914 e passato alla storia per la sua vittoria al Tour De France del 1938, una vera e propria prova di resistenza, oltre 4mila chilometri, molti dei quali in salita. I giornali dell’epoca titolavano “Uno scalatore incredibile, un vero fenomeno”.Cattolico praticante, durante il suo discorso dopo la vittoria del Tour ringraziò solo i suoi tifosi e non il Duce come era obbligatorio fare. Il bouquet da vincitore lo depose davanti alla statua della Madonna a Notre Dame.
Un vero e proprio affronto per il regime fascista che fu comunque costretto ad invitarlo a Roma nella sede del Governo ma senza la minima solennità o pubblicità. Mussolini lo fece attendere quasi due ore e poi gli disse: Siete voi Bartali? Complimenti. E gli donò una medaglia di finto oro che il Gino Nazionale gettò in fondo all’Arno.
Elia Dalla Costa era l’arcivescovo di Firenze e conosceva molto bene Bartali per quello gli propose di diventare il postino segreto dell’organizzazione clandestina di soccorso ai profughi ebrei.
Il suo compito era quello di portare foto e documenti per essere trasformati in carte d’identità false nella tipografia dei Brizi. Tutti avrebbero pensato che si stesse allenando e a nessuno sarebbe mai saltato in mente di controllarlo.
Un segreto che non confidò mai neanche alla moglie e per essere sempre ben riconoscibile indossava una maglia con la scritta Gino Bartali sia davanti che dietro.
Se per caso, lungo la strada per Assisi, si imbatteva in qualche posto di blocco della polizia fascista Gino riusciva a non tradire la minima emozione. Faceva il compagnone con i soldati più giovani, firmando autografi e lanciando battute. Aveva sempre pronta la strategia d’uscita: scusate ma non posso fermarmi perché sono troppo sudato, oppure: devo andare al più presto dal meccanico perché mi si sta sgonfiando la gomma. Alla fine Bartali inforcava nuovamente la bici e ripartiva indisturbato con il suo prezioso carico.
Che dire, un uomo unico...un po' campione e un po' eroe